La media voto dei calciatori del Lecce in base alle Pagelle della stampa nazionale e locale.
Gabriel para tutto, Falco e La Mantia generosi.
Imbula, Rispoli e Petriccione da dimenticare.
Il Lecce (5,47) partecipa alla festa del nuovo Gewiss Stadium rimediando una sonora batosta dall’Atalanta al cospetto di 1500 tifosi salentini presenti.
Poteva andare molto peggio
Questa la sensazione generale al triplice fischio di Atalanta-Lecce, una partita che non ha mai avuto storia per i giallorossi se non per mettere in mostra le qualità del portiere Gabriel (6,75: migliore in campo), cui qualcuno la settimana scorsa addirittura addossava tutte le colpe della sconfitta con la Roma. Complici gli infortuni, Liverani (5,2) sceglie il centrocampo più contenitivo che il Lecce possa schierare, con l’esordio di Imbula dal primo minuto. Il congolese dimostra di saper dare del tu alla palla ma i troppi tocchi e le scelte difettose sono indice di una condizione atletica ancora lontana dall’apice e alla fine sarà il peggiore in campo per la stampa col suo 5,05 di media voto.
Il Lecce sembra partire bene ma in realtà è solo l’Atalanta che sta studiando il punto e il momento buoni in cui colpire. Gasperini è al terzo anno alla guida della Dea e non a caso la sua è una macchina perfetta che gioca un calcio totale, probabilmente impensabile in altre piazze. Non si è mai vista, infatti, una difesa a tre altissima con tutti gli effettivi proposti costantemente in attacco: i laterali a fare i terzini e il centrale a inserirsi. Merito sicuramente di due frangiflutti dai piedi buoni come Freuler e De Roon, ma anche di due frecce come Gosens e Castagne (Hatebour era fuori…) capaci di percorrere chilometri di campo in verticale e in orizzontale sempre con qualità altissima in entrambe le fasi.
E se questo non bastasse, può godere di un fuoriclasse come Gomez cui viene lasciata (o richiesta?) la libertà di fare in pratica il tuttocampista, senza una vera posizione in campo, mandando al manicomio settimanalmente tutti gli avversari, tanto da chiedersi se davvero non sia necessario su di lui l’ormai desueto uomo fisso che lo francobolli per l’intera gara. Eppure, tutta la fase difensiva di Gasperini è costruita sulle marcature a uomo.
Tiro al bersaglio
La splendida parata di Gabriel su Ilicic è solo la prima di una lunghissima serie ed un avvertimento per quello che sarà un tiro al bersaglio verso la porta giallorossa. La dinamica che porta al primo gol, però, è di quelle che farebbero arrabbiare qualsiasi allenatore. Posto che la direttiva tattica di uscire palla al piede non è in discussione, è necessario farlo con qualità e senza pressappochismo.
Forse impaurito dal pressing di Gomez e Zapata, Petriccione (5,15) appoggia male su Lucioni (5,3) costringendolo ad indietreggiare velocemente e a riposizionarsi in maniera innaturale per poter avere la palla sul destro. Un movimento che non gli consente né di lanciare (Zapata gli è già davanti) né di rifugiarsi da Gabriel per un rinvio.
L’unico corridoio disponibile, dunque, è Rispoli (5,1) a destra, ma lo scarico del centrale leccese è affrettato dalla pressione del colombiano e risulta corto. Al tempo stesso, Rispoli non fa nulla per rimediare all’errore del compagno e, pur essendo in netto vantaggio su Gosens, si perde in degli inutili passetti sul posto, l’olandese lo brucia sul tempo e il resto è storia nota.
Sul raddoppio, Gomez si infila nella terra di mezzo tra Petriccione e Imbula, mentre per il terzo gol basta guardare dove si posiziona Zapata per portare fuori Lucioni e aprire una voragine al centro della difesa del Lecce, dove Gosens si infila di prepotenza dopo aver lasciato sul posto prima Rispoli e poi Majer (5,3) , entrambi colpevoli di aver seguito in ritardo (o di non aver seguito affatto) la corsa dell’esterno nerazzurro.
Come sottolineato anche dal presidente Sticchi Damiani, dunque, davvero poco o nulla da salvare in questa trasferta da dimenticare presto se non per il gol della bandiera di Lucioni avvenuto su calcio piazzato di Falco (5,82): uno dei tasti che furono invece dolenti contro la Roma.
Ma perché l’Atalanta è così forte?
Bisogna riconoscerlo: l’Atalanta è un modello, oltre che un sogno, per ogni squadra della provincia italiana. Scudetto a parte, ha realizzato tutto ciò che un tifoso di una cosiddetta “piccola” possa sperare nella propria vita sportiva, ma per arrivare a quel livello, un livello da Champions League (stadio di proprietà compreso), la storia dell’Atalanta non inizia ieri.
Percassi, già giocatore nerazzurro negli anni ’70, rileva l’Atalanta nel 1990 e la prima cosa che fa è ingaggiare dal Como un signore chiamato Mino Favini, responsabile del settore giovanile e artefice delle fortune dei lariani negli anni ’80 coi vari Vierchowod, Fontolan, Simone o Borgonovo.
Scomparso proprio nell’aprile di quest’anno, Favini è stata la vera “gallina dalle uova d’oro” dei bergamaschi, capace di creare talenti in casa propria per poi rivenderli e reinvestire, fino ad arrivare ai livelli odierni, in cui cedere non è più una necessità e, anzi, l’Atalanta si può permettere di comprare a titolo definitivo calciatori di calibro internazionale come Ilicic, Zapata, Muriel, Kjaer o Malinovski.
Quando Percassi si riprende la società dalla famiglia Ruggeri nel 2010 la squadra va in B ma per l’ultima volta, perchè il percorso di crescita è già in atto: Montolivo, Pazzini, Donati, Bianchi e Pelizzoli sono solo cinque dei tanti saliti alla ribalta dalla Primavera orobica (per non parlare degli allenatori, da Prandelli a Bollini, giusto per citare due nomi legati al Lecce e alla Nazionale).
Se volessimo fare oggi un undici solo coi giocatori in attività prodotti dal vivaio atalantino ci sarebbe da impallidire: Consigli, Zappacosta, Caldara, Mancini, Spinazzola; Kessie, Gagliardini, Baselli; Cristante, Bonaventura, Gabbiadini, per un 4-3-2-1 che avrebbe in panchina gente come Sportiello, Conti, Bastoni, Grassi e Kulusevski.
Tutti nomi ancora più forti di quelli citati in precedenza, a testimonianza di come questo settore giovanile sia stato in grado di crescere anche qualitativamente nell’ultimo decennio e il palmares lo dimostra: indovinate un po’ chi sono i Campioni d’Italia Primavera in carica?
Insomma, valeva la pena divagare un po’ per capire veramente contro chi ha perso il Lecce domenica e sognare, perché no, di costruire nel tempo anche in Salento un progetto come quello bergamasco.
Sosta coi fantasmi di Tonelli e Donati
Nel frattempo però c’è la sosta, che come a settembre può rivelarsi salvifica per il Lecce al fine di recuperare gli infortunati e richiamare la condizione fisica dei tanti in ritardo: a cominciare da Babacar (5,5), Mancosu (5,3) e Lapadula, ma soprattutto di Benzar, Imbula e Shakhov, dal momento che il loro curriculum è stato scelto appositamente per alzare su tutti i fronti il livello della rosa. Non solo: sarà l’occasione ideale per registrare i meccanismi di una difesa troppo fragile al punto da evocare puntualmente i nomi di Lorenzo Tonelli e Giulio Donati, sogni di mercato svaniti con l’estate e i cui fantasmi forse aleggiano nelle notti insonni di Meluso.
Al rientro altre due sfide a dir poco proibitive: la trasferta col Milan alla disperata ricerca di punti e l’impegno al Via Del Mare con la Vecchia Signora, che non ha bisogno di didascalie. Ultimi due impegni prima di dichiarare ufficialmente concluso il rodaggio della squadra di Liverani, alla quale sarà richiesta la “versione definitiva” a partire da Sampdoria e Sassuolo. Senza ovviamente guardare ancora la classifica, la consolazione per questi quindici giorni di astinenza c’è e non è di poco conto: la Serie A 2019/20 è equilibratissima specialmente in coda e il Lecce potrà dire la sua anche con questo stesso organico. A patto di avere tutti al 100% pronti a dare l’anima per portare a compimento il progetto tattico di mister Liverani.
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