La media voto dei calciatori del Lecce in base alle Pagelle della stampa nazionale e locale.
Hjulmand fa saltare il piano partita,
Falcone evita l’imbarcata.
Nonostante ancora una volta arbitro e VAR provino a prendersi la scena,
proviamo ad analizzare Roma-Lecce (5,87) anche al di là degli episodi.
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Errori di gioventù
Serate come quella dell’Olimpico lasciano in eredità così tante riflessioni che è complicato metterle in fila tutte senza andarsene per la tangente.
Una partita solo apparentemente senza una logica, da più parti derubricata come sconfitta immeritata del Lecce per colpa delle decisioni arbitrali.
A sottintendere, insomma, che l’espulsione di Hjulmand dopo soli 20 minuti ne abbia deciso le sorti a sfavore dei salentini.
Premesso che non esiste controprova di “come sarebbe andata se”, l’unica possibilità di analisi oggettiva che abbiamo è quella di smontare questa gara e osservarla a pezzi. Cominciando dai primi venti minuti in parità numerica: cosa ha fatto il Lecce per non meritarsi la sconfitta? Non occorre scomodare chissà quale onestà intellettuale per rispondere: niente.
Pur sapendo di trovarsi di fronte una Roma desiderosa di rivalsa dopo la sconfitta in Coppa col Betis, i salentini l’affrontano con fare dimesso, quasi da sparring partner, commettendo lo stesso errore di approccio fatto con l’Inter.
La Roma dal canto suo prende subito in mano il pallino del gioco come forse mai aveva fatto nel corso di questa stagione, sfoderando dopo cinque minuti il suo cavallo di battaglia: i calci da fermo.
A contrastare il trenino amaranto-oro sul corner di Pellegrini ci sono Hjulmand su Mancini e Pezzella (5,5) su Ibanez (che poi si scambiano dopo il blocco di quest’ultimo), Umtiti su Belotti, Ceesay (5,65) su Cristante, Askildsen su Smalling e Zaniolo (chissà perché) lasciato solo da Baschirotto (6) che va a fare densità in mezzo. Zaniolo a parte, tutte marcature sicuramente studiate per far fronte alla dirompente fisicità dei capitolini in questi frangenti.
Quando Ceesay la mette fuori, Strefezza dà l’impressione di potersi impossessare del pallone e dare avvio a un contropiede, ma Vina e Dybala lo disinnescano riaprendo sulla destra per Pellegrini.
I saltatori romanisti sono ancora tutti lì mentre i leccesi sono costretti a inchiodare la ridisposizione in uscita e fare dietro front. Così facendo però non vanno a ricostituire gli accoppiamenti del corner, con Baschirotto che guarda Mancini ma poi lo molla decidendo di andare su Belotti.
Ma soprattutto con Askildsen (5,65) che prima segue il movimento del suo uomo Smalling, salvo poi abbandonarlo alle cure di Gendrey (5,45): l’inglese, alto 1 metro e 94, passa così da un avversario di 1,90 a uno di 1,79.
E qui, tornando all’apparente illogicità iniziale, la logica degli avvenimenti invece comincia a vedersi benissimo. Non ci si poteva aspettare nulla di diverso, infatti, da quello che si è visto: Smalling che usa Gendrey come si fa con la cavallina nell’ora di educazione fisica alle elementari, appoggiandosi sulle sue spalle e saltandogli in testa. Con una superiorità talmente evidente che quasi ci si vergogna a chiedere il fallo, a testimonianza ulteriore dell’approccio dimesso di cui sopra.
Il Lecce, dunque, chiude la porta sul corner lasciando però spalancate le finestre sugli sviluppi dello stesso corner, con un errore che si può serenamente definire peccato di gioventù, in una categoria in cui i ragazzotti di Baroni hanno giustamente ancora molto da imparare.
Storditi e impallinati dal continuo alternarsi tra aperture esterne e verticalizzazioni centrali degli uomini di Mourinho, i giallorossi rischiano di capitolare almeno altre due volte prima dell’episodio chiave che ridisegna la partita. Per questo possiamo affermare che si, perché no, il Lecce avrebbe potuto avere una delle sue classiche reazioni di carattere per colpire e affondare una squadra emotiva per DNA come la Roma. Così come non possiamo negare che fin lì il match sembrava una passerella per il pronto riscatto dei capitolini, di quelli che finiscono molto a poco e con marcatori improbabili o bisognosi di sbloccarsi chissà da quanto tempo.
Incompatibilità territoriale
Poi, sull’ennesima verticalizzazione, Hjulmand (5: peggiore in campo per la stampa) e Belotti si allungano in scivolata sullo stesso pallone stoppato male dal Gallo. Ci arrivano praticamente in contemporanea, la sfera schizza via ma i tacchetti di Hjulmand finiscono sulla tibia di Belotti che rimane a terra.
Un fallo da ammonizione che l’arbitro non ravvisa, ma viene richiamato dal VAR: cosa che può accadere solo in caso di sospetto intervento da rosso. E in particolare due eventualità: una condotta violenta in assenza di contesa del pallone, quindi da escludere. E un “grave fallo di gioco, nel caso in cui un giocatore utilizzi vigoria sproporzionata in un’entrata su un avversario per la contesa del pallone“.
Eccoci dunque alla logica delle interpretazioni: la vigoria di Hjulmand è sproporzionata perché tiene la gamba alta e digrigna i denti, oppure essendo entrambi in scivolata si deve valutare se c’è la ricerca del pallone o dell’avversario, cosa che si evince bene dal movimento delle gambe di Hjulmand che dopo il contatto non affonda e non ha il piede a martello appunto cercando la palla che era nella sua disponibilità.
Per i principali media sportivi (Corriere dello Sport a parte), l’interpretazione corretta sarebbe stata la seconda, con giallo d’ufficio a Hjulmand.
Per il VAR Banti ma soprattutto per l’arbitro Prontera no.
E qui ci si potrebbe lasciare andare alle classiche speculazioni da bar, ovvero: se Prontera è nativo del Salento, come fa ad arbitrare il Lecce?
Fossimo in Inghilterra o in Germania probabilmente neanche ce li porremmo questi problemi. Ma siamo in Italia e, piaccia o meno, non si può fare a meno di contestualizzare.
In questi casi, un giovane arbitro di Serie A ha davanti a sé due ipotesi: sperare in una partita facile per una conduzione perfetta, oppure sapere che sarà inevitabilmente esposto a critiche. Perché, come già accaduto ma in maniera meno vistosa contro l’Inter, tra l’optare per una decisione a favore del Lecce e farsi tacciare di campanilismo oppure scacciare via ogni possibile illazione e interpretare ogni episodio dubbio a favore della big di turno, la seconda ipotesi è quella umanamente più dentro la logica, che ancora una volta si rivela in tutta la sua spietata semplicità.
Ma allora, perché metterlo nelle condizioni di stare tra la padella e la brace, per di più in recidiva dopo l’Inter? Sol perché sul modulo da compilare a inizio stagione non ha inserito il Lecce tra le incompatibilità territoriali? Il designatore non ha un’opinione da far valere in merito? Come col Monza, però, il timore è che queste resteranno domande senza risposta.
Il Ceesay dei ricchi
La decisione di Prontera, dunque, mette fine di fatto alla partita tra Roma e Lecce. Una partita che il Lecce stava giocando male come spesso gli capita di fare nei primi tempi, praticamente senza mai superare il centrocampo. Sarà probabilmente una strategia, dal momento che avere giocatori molto rapidi e sguscianti potrebbe suggerire di aspettare la stanchezza e l’allungamento delle fila avversarie per poter colpire di rimessa sfruttando l’atletismo.
Sta di fatto che inevitabilmente, dal 20° in poi, l’obiettivo del Lecce diventa quello di non prendere imbarcate cercando di restare in partita più a lungo possibile.
La Roma, dal canto suo, gioca come se fosse una squadra in grado di segnare da un momento all’altro, quando invece i numeri ci dicono che non è affatto così.
E quando Strefezza (6,6), al primo vero affondo leccese, sfrutta una mischia in area su corner per ribadire in rete una sponda di Umtiti (6,1), il tempo di poter anche solo pensare che la gara possa avere uno sviluppo differente da quello verso cui è stata orientata è l’intervallo.
Ovvero giusto quello per Baroni (6,05) di inserire Blin (5,88) per Gonzalez (5,55) e ribadire un arroccamento ordinato ma propositivo sul 4-4-1.
Pronti via, infatti, ed è subito rigore per la Roma.
Il neo entrato Abraham è un “Ceesay dei ricchi” (o Ceesay è un Abraham dei poveri, scegliete voi), un pennellone (di)sgraziato che lotta per la squadra e spesso spreca sotto porta, ma ha l’astuzia di ogni numero nove che si rispetti e si procura il tiro dal dischetto tenendo lunga la gamba a protezione di una palla ormai andata proprio nella traiettoria di corsa di Askildsen, che ovviamente lo tocca.
Il crollo in area è inevitabile per suffragarne l’azione e, nonostante le immagini mostrino come sia proprio il norvegese a essere in anticipo rispetto alla gamba dell’inglese che si sposta appositamente verso di lui, anche in questo caso spetta al direttore di gara e al VAR stabilire come siano andate le cose.
E anche stavolta, nel dubbio, Prontera sa benissimo cosa fare.
Al Karma
Al Lecce non resta che affidarsi al karma, ma non quello che vede prontamente infortunarsi tutti i giocatori che gli segnano o ci provano. Dopo Lukaku, Berardi e Osimhen, è il turno di Dybala (in bocca al lupo all’argentino che ora rischia di perdere il Mondiale). Un altro episodio che ci riporta alla famosa logica delle cose, in base alla quale se si gioca ogni tre giorni e si ha un calciatore fortissimo ma altrettanto fragile, cosa ci si può aspettare di diverso se non gli si consente un turno di riposo nemmeno contro una neopromossa?
Dybala, per la cronaca, aveva già forzato contro l’Inter prima della sosta, poi è andato in Nazionale senza allenarsi e giocare, rientrando per provare a risolvere la partita col Betis, sempre dal primo minuto. Tante le testate che lo davano appunto in turnover col Lecce, magari per lasciare spazio ad uno tra El Shaarawy o Shomurodov. Forse per la pressione di dover fare risultato dopo il ko in Conference, forse per le prestazioni fin qui asfittiche dei suoi centravanti, forse semplicemente perché è sempre dura lasciare fuori uno che sta andando in gol da cinque partite di fila, Mourinho se l’é rischiata ed ora paga il conto, andando a riempire ulteriormente un’infermeria, quella capitolina, che avrebbe bisogno – e non certo da quest’anno – di analizzare più approfonditamente i perché di cotanto affollamento.
A proposito di infortuni, nella giornata del ritorno in campo di Umtiti, il Lecce raggiunge il micro-obiettivo di portarsi a casa non tanto la prestazione in sé – solo tre tiri in porta di Ceesay, Strefezza e Di Francesco (6,07) – quanto l’atteggiamento pugnace e orgoglioso tenuto in inferiorità numerica.
In altri tempi gare come queste si sarebbero concluse con delle umilianti goleade, con la conseguenza di dover rimettere in discussione tutto, anche quanto fatto di buono fino a quel momento. Invece, fisiologici svarioni difensivi a parte – vedi Pezzella su Zalewski o Baschirotto su Abraham – sventati con la solita rocciosità da Falcone (6,65: migliore in campo per la stampa) il Lecce dimostra di esserci, di essere presente a sé stesso anche in condizioni di sofferenza.
E più di tutto lo dimostra la postura dei giocatori, col corpo quasi sempre orientato verso la porta avversaria anche nei controlli di palla più difficili e sotto il pressing degli undici contro dieci.
Il karma, dicevamo. La Roma vince esattamente nel modo in cui spesso i suoi tifosi si lamentano di perdere, ovvero mettendosi in scia di una conduzione arbitrale favorevole dopo una prestazione orribile dal punto di vista dell’efficacia offensiva. Il Lecce, invece, mette un altro paio di gettoni nel salvadanaio dei crediti nei confronti della sorte – continuiamo a chiamarla sorte, senza scadere nei complottisimi – con la speranza di poterlo spaccare quanto prima e recuperarli in termini di punti in classifica.
Chi di speranza vive, disperato muore, recita però un vecchio detto sempre attuale. E allora meglio mettersi in testa prima possibile che la Serie A è una categoria in cui si combatte in campo e fuori.
E che per non recitare il ruolo della vittima sacrificale occorre sfoderare la grinta della seconda parte di Roma-Lecce sin dal fischio iniziale di tutte le partite, senza attraversare fasi di smarrimento dell’identità in cui si regalano minuti, metri e preziosa autostima agli avversari.
Le pagelle definitive: le medie voto finali in base ai giudizi della stampa locale e nazionale.
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Serie A 2022/23: le pagelle definitive del Lecce
Lecce-Inter 1-2
Sassuolo-Lecce 1-0
Lecce-Empoli 1-1
Napoli-Lecce 1-1
Torino-Lecce 1-0
Lecce-Monza 1-1
Salernitana-Lecce 1-2
Lecce-Cremonese 1-1