Dal tacco d’Italia in cima al mondo:
la storia di Franco Causio, ala moderna che si è caricata sulle spalle il numero 7 e il riscatto di migliaia di emigranti.
La mia nuova biografia storytelling per SportinPuglia.

Franco Causio vita storia biografia Barone Lecce Juventus Italia Udinese

Il mitico scopone scientifico Mundial tra Franco Causio, Dino Zoff, Enzo Bearzot e il Presidente della Repubblica Sandro Pertini (1982)


Col numero 7 sulle spalle, capelli voluminosi e baffoni, è divenuto l’iconico simbolo del riscatto non solo dei pugliesi, ma di tutti i meridionali che negli anni ’70 e ’80 erano costretti a lasciare la propria terra sapendo di andare incontro a sfruttamento, frustrazione e discriminazioni.
Grazie al suo scatto bruciante, la finta irresistibile, il dribbling ubriacante, il cross millimetrico, Franco Causio è partito adolescente dalla Puglia per conquistare il mondo palla al piede.

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I talenti del Lecce di Attilio Adamo (1965)

 

La leggenda delle “undici furie” di Adamo


La storia dedicata a Totò De Vitis inziava descrivendo la Lecce storica e calcistica del 1964.

Un anno più tardi, i giallorossi salentini sono sempre nel bel mezzo di una profonda crisi sportiva e finanziaria che dal 1949 li vede annaspare tra terza e quarta serie sportiva. Senza una vera proprietà, l’Unione Sportiva è in mano a un commissario a corto di fondi e di entusiasmo dopo la B sfumata nel 1962.
Da allora si fa molta fatica a tenere in ordine i bilanci e, se in un primo momento era venuto meno qualche premio partita, col passare degli anni cominciano a saltare anche gli stipendi. Il malumore nella squadra è palpabile, ma il rispetto verso i tifosi, la città e la maglia viene prima persino dei soldi e i giocatori si impegnano al massimo, tanto da raggiungere la salvezza con ben tre giornate d’anticipo.

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Mamma Anna, papà Oronzo e il piccolo Franco Causio (1951)


A quel punto, però, decidono di mettere in piedi un’iniziativa clamorosa e inedita. Molti, infatti, erroneamente attribuiscono al Bologna del 1974 il primo caso di sciopero italiano dei calciatori, ignorando quello che successe a Lecce ben nove anni prima, nel 1965. Per protestare platealmente contro la mancata liquidazione degli stipendi, dopo lo 0-0 casalingo col Cosenza che sancì la salvezza aritmetica Trevisan e compagni decisero legittimamente di scioperare non scendendo più in campo.

Una contestazione che spiazzò tutti tranne lo storico responsabile del settore giovanile del Lecce, Attilio Adamo
. A risultato stagionale conseguito, infatti, Adamo capì che quelle ultime tre partite sarebbero state un’occasione unica per lanciare nella mischia i suoi talentini, alcuni dei quali come Cartisano, Sensibile, Donadei e Russo già impiegati stabilmente tra i titolari. Tra quei giovincelli c’è anche un sedicenne leccese doc che Adamo segue con occhio particolare: Franco Causio.

Durante le ore di educazione fisica dell’Istituto Tecnico Industriale “Enrico Fermi” di Lecce tutti vogliono stare in squadra con lui. Col pallone tra i piedi è un funambolo e non è un caso che Adamo (ex ala destra pure lui) lo osservasse sin dai tempi del NAGC («Nucleo Addestramento Giovani Calciatori») e della sua Juventina prima di aggregarlo alla “De Martino” del Lecce (com’era chiamata l’allora squadra Primavera).

 

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Le “undici furie” di Adamo schierate al Carlo Pranzo prima di Lecce-Sambenedettese (9 maggio 1965): Causio è il secondo in piedi da destra.


Forse temendo di subire delle goleade imbarazzanti, in quelle ultime tre uscite stagionali ai giovani giallorossi fu tolto il peso della maglia ufficiale e venne loro fatta indossare una casacca (oggi divenuta culto introvabile) verde con una banda diagonale giallorossa. Con il mentore Adamo in panchina, i ragazzini terribili danno filo da torcere alla Reggina capolista dell’allenatore barese Tommaso Maestrelli perdendo solamente 2-1 in Calabria nella giornata in cui la maggior parte di loro esordiva da professionista.

Poi al Carlo Pranzo di Lecce misero in imbarazzo la forte Sanbenedettese passando addirittura in vantaggio e reggendo bene sul pari prima di subire il gol dell’1-2 solo all’87°. Nello spogliatoio tra il primo e il secondo tempo, sul risultato di 1-1, l’allenatore dei marchigianiAlberto Eliani fa volare di tutto: si aspettava dei bambini, ha trovato “undici furie” (come da lui stesso definiti) e minaccia addirittura una pesante multa se i suoi non avessero vinto. In particolare c’è un tornante che, dopo aver fatto ammattire una vecchia volpe come Olmes Neri a Reggio Calabria, sta praticamente devastando i suoi esterni, che non riescono in nessun modo a fermarlo. Eliani se ne innamora e a fine gara blocca Attilio Adamo per ottenere informazioni su di lui. Quel ragazzo è Franco Causio.

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Causio nel ritiro dell’Under italiana ai tempi della Sambenedettese (1966)


Eliani conosce benissimo i problemi finanziari del Lecce e fa leva su questo per convincere Adamo a cederglielo immediatamente, prima che qualcun altro lo adocchi. Ma il ragazzo ha solo sedici anni, la mattina va a scuola e il pomeriggio dopo i compiti, quando non si allena, dà una mano alla famiglia facendo il garzone da un barbiere: è complicato sradicarlo così, da un giorno all’altro. Eliani però lo vuole a tutti i costi e Adamo lo porta a parlare con mamma Anna e papà Oronzo, una vita a bordo della sua Ape Piaggio a trasportare bombole di gas in giro per il Salento. Eliani gli dà la sua parola d’onore: avrebbe seguito Franco giorno dopo giorno, passo dopo passo, e non gli avrebbe fatto mancare nulla nemmeno a livello economico. Alla fine Oronzo si convince, ma strappa al figlio Franco una promessa: che un giorno sarebbe tornato a giocare con la maglia del Lecce.

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Franco Causio nella sua primissima stagione a Torino da giocatore della Juventus (1967)

 

Il valzer dei provini

È lo stesso Attilio Adamo ad accompagnarlo con la sua macchina da Lecce a San Benedetto del Tronto nell’estate del 1965. Alberto Eliani lo sistema presso una buona famiglia: marito, moglie, due figli e una stanza per gli ospiti pagata dalla Samb. Si raccomanda di controllarne orari e regime alimentare, al resto ci avrebbe pensato lui.

Alla Samb il giovane Franco fa vita da atleta e spedisce via vaglia ai genitori esattamente metà dello stipendio percepito: vuole ringraziare la famiglia dei sacrifici fatti e cominciare a supportarla concretamente. Soltanto molti anni più tardi scoprirà che papà Oronzo non toccherà mai una lira di quelle provenienti dalle Marche: preferirà versare tutto su un libretto intestato proprio al figlio, continuando la vita semplice e umile di sempre.

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Causio in prestito alla Reggina in Serie B: è il primo in piedi a destra (1968)

 

Come promesso, Eliani prende Causio sotto la sua ala. Lo fa allenare duro sulla spiaggia di San Benedetto insieme ai grandi e ogni tanto lo butta pure in campo la domenica, suscitando le attenzioni del commissario tecnico della Nazionale Under 16 Giuseppe Galluzzi, che lo vuole sempre più spesso con sé a Coverciano. Ma Eliani sa che non può bastare e così il martedì e il mercoledì lo mette in macchina e lo porta in giro per l’Italia a fare provini, com’era in uso all’epoca nelle piccole società per cercare di piazzare i propri talenti. E ogni volta per l’adolescente Franco sono illusioni e speranze che si tramutano puntualmente in cocenti delusioni.

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Causio militare alla Cecchignola (1969)


Viene scartato prima dal Mantova, poi dall’Inter. Il Bologna ci fa un pensierino ma la squadra che pare voler maggiormente investire su di lui è il Torino
, che lo ospita venti giorni nel convitto di Corso Vittorio per visionarlo più attentamente facendogli respirare l’aria degli spogliatoi del Filadelfia, quelli del Grande Torino. Il ragazzo il dribbling ce l’ha e la personalità pure. Sembra fatta, tant’è che Causio segna già il numero della camera della pensione dove avrebbe potuto soggiornare. E invece il vice dell’allenatore Nereo Rocco, un certo Enzo Bearzot, fa sapere a Eliani che “’Xe bon, ma ‘no gà el fisico. Franco è scoraggiato ed Eliani prova a tenergli il morale alto aumentando il suo minutaggio in campo (a fine stagione saranno 13 le presenze in rossoblu).

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Causio in prestito dalla Juventus al Palermo (1969)

È il dopo partita di Sambenedettese-Bari, vinta dai marchigiani proprio grazie a un gol del salentino, ed Eliani gli comunica di prepararsi: si va a Forlì per un ennesimo provino, stavolta un open-test organizzato dalla Juventus.
Causio non ha nessuna intenzione di andarci, pensa sia tutto inutile ed Eliani fa un bel po’ di fatica a convincerlo, ma una volta lì la sua motivazione è alle stelle. La partitella inizia e Franco è un tornado: nei primi dieci minuti mette a soqquadro la difesa avversaria segnando pure un paio di gol.
Passano pochi giri di lancette e un signore con la divisa da ferrotranviere fa cenno che basta così e lo fa uscire dopo nemmeno un quarto d’ora di gioco. Causio non ci vede dalla rabbia: manda tutti a quel paese e negli spogliatoi informa Eliani che non ne poteva più e che quello sarebbe stato il suo ultimo provino. E così sarà.

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In Sicilia avviene la sua esplosione in Serie A e la Juve lo riscatta (1970)


La sensazione di aver fallito accompagnerà Causio fino al termine della stagione. Non può sapere che quel signore, oltre ad essere un dipendente delle Ferrovie dello Stato, è anche il capo scouting della Juve per le Marche e il Lazio. E che lo ha tolto dal campo subito solo per nasconderlo ai taccuini rivali. Il suo nome è Luciano Moggi e da quel giorno non mancherà di inviare in segreto l’osservatore Virginio “Viri” Rosetta alle partite della Sambenedettese.

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Franco Causio alla prima stagione da titolare alla Juventus (1970)

 

Causio si sta godendo il relax estivo con la famiglia nella marina leccese di San Cataldo quando gli viene recapitato un telegramma da Torino. “Che Rocco abbia cambiato idea?”, sobbalza ignaro e speranzoso. Invece la missiva non proviene dalla sponda granata della Mole, bensì da quella bianconera e lo invita a presentarsi in Galleria San Federico, la sede della Juventus.
Ci mettono tutti un po’ a capire che sta succedendo veramente. Tra l’altro, ironia della sorte, Franco è un tifoso milanista: stravede per la classe sopraffina del regista Dino Sani, nutre profonda ammirazione per Gianni Rivera e, al massimo, il suo punto di riferimento calcistico è Jair, l’ala destra dell’Inter. Ma di juventinità nemmeno l’ombra.

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Causio si porta a casa il pallone sotto gli occhi di Facchetti dopo la tripletta in Juventus-Inter del 1972.

 

L’importanza della gavetta

Estate 1966. Passato da San Benedetto per fare le valigie e salutare tutti, Franco si reca a Torino. Nella sede di Galleria San Federico lo accolgono il presidente Catella e Giordanetti, dirigenti che precedettero l’era Boniperti e artefici di quello che poi sarà lo scudetto ‘66/’67. La vita nella Torino di fine anni Sessanta a diciotto anni è particolarmente dura. Nello scomodo pensionato di Via Susa lo mettono in camera col capitano Tino Càstano, antesignano di quello che sarà lo stile Juve, che condivide con lui i viaggi in tram verso lo stadio insegnandogli le virtù del sacrificio, del rispetto e del silenzio.

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“Non siamo andati in finale perché, contro l’Olanda, eravamo convinti di aver già vinto dopo aver chiuso 1-0 il primo tempo. Bearzot mi sostituì con Sala per farmi riposare in vista della finale. Invece, gli olandesi fecero due goal e addio finale” (1978)

 

Causio gioca con la Primavera ma si allena quasi sempre con la prima squadra sotto gli occhi del mister Heriberto Herrera. Il giovane leccese si sente “come un bimbo alle giostre”: oltre a Càstano può ammirare Leoncini, Del Sol, Favalli, Bercellino, Salvadore ma soprattutto il fantasista Haller – un tedesco-napoletano con la paura dell’aereo e della moglie, da cui Causio carpirà diversi segreti – e il brasiliano Cinesinho, che lo adotta come fratello minore e lo aiuta in campo e fuori.

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“Causio si presenta in ritiro con un paio di folti baffi neri, un po’ per moda, un po’ per ripicca, un po’ in omaggio a suo padre Oronzo. Impossibile che la cosa sfugga all’Avvocato Agnelli, che atterrato in elicottero a Villar Perosa invita subito Boniperti a fargli fare un passaggio dal barbiere” (1976)

Il rude allenatore paraguaiano lo tiene in considerazione ma passa un anno e la chance non arriva. Franco attende con pazienza ed umiltà la sua occasione che giunge un giorno all’improvviso, poco prima del suo diciannovesimo compleanno. La squadra è in ritiro a Mantova la domenica mattina prima della partita e lui sta sorseggiando un caffè in attesa del suo turno al flipper quando il massaggiatore Sarroglia gli intima di salire in camera dal mister, senza aggiungere altro.

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“Arrivano due scudetti consecutivi, di cui uno record con 51 punti, e la Coppa UEFA: il primo trofeo internazionale vinto dalla Vecchia Signora” (1977)

 

Causio non immagina quale sia il motivo della convocazione, anzi, è più preoccupato che altro. E l’atmosfera con cui viene accolto infittisce il mistero: Heriberto Herrera si fa trovare in penombra, con le finestre socchiuse, dietro la sua scrivania da cui si poteva solo intravederne la sagoma. La sua reputazione di tipo burbero e severo non fa presagire nulla di buono. Tutti i giocatori lo temono, in particolare per via di quella sua fissa per l’alimentazione: vengono pesati tutti i giorni, prima e dopo l’allenamento, e se non si registrava anche un minimo calo scattava la multa.

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“Per ritrovare il tricolore sulle maglie bianconere bisogna attendere la stagione 1980/81, l’ultima di Causio alla Juventus. Il rapporto con Trapattoni, infatti, sembra essersi incrinato”


Causio entra nella stanza a passo felpato, specificando che è lì solo perché glielo ha detto il massaggiatore. E lui, senza scomporsi, col suo incedere latinoamericano gli fa: “Luis (Del Sol, ndr) è indisponibile. Quindi tocca a lei: è il suo momento”. Causio balbetta ed Herrera incalza: “Per caso non se la sente?”. “Come no!”, risponde stavolta deciso il leccese. “Muy bien allora – gli ribatte il paraguagio – perché la fascia destra, oggi, me la deve consumare”.
Nella hall dell’albergo i festeggiamenti per l’esordio di Causio si uniscono a quelli per l’altro debuttante Guido Onor. Ma durano poco, perché c’è la riunione tecnica pre-gara alla quale partecipano solo i titolari e dunque anche Causio, che pur giocando all’ala indosserà la maglia numero otto con lo scudetto sul petto. E fa una buona prestazione, seppur il match finirà 0-0.

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L’11 luglio 1982, giorno della finale contro la Germania Ovest, Causio siede come sempre in panchina. A una manciata di minuti dalla fine, però, Bearzot si volta verso di lui: “Vai, tocca a te”.

 

Sarà la sua unica presenza in bianconero in due anni. Al termine della stagione, infatti, i dirigenti juventini lo mandano a fare esperienza in Serie B, a Reggio Calabria. Nella grande famiglia reggina del presidente Oreste Granillo, si fa le ossa in allenamento sgomitando con lo stopper Nedo Sonetti ma soprattutto conosce un altro mentore. È il mister Armando Segato, cresciuto da giocatore nel Grande Torino, simbolo della Fiorentina scudettata ‘55/’56 e alla sua ultima stagione da allenatore a causa del morbo di Gehrig. È lui a dare a Causio una significativa impostazione tecnica e tattica, facendone un “titolare in casa e tredicesimo uomo in trasferta” e ricevendo in cambio cinque reti in trenta presenze per l’ottimo quinto posto finale in campionato.
Tanto basta per convincere la Juve a fargli tentare un’avventura in A, questa volta a Palermo, in prestito con diritto di riscatto in favore della società rosanero.

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Il Mondiale Argentina ’78 viene spesso considerato come il punto più alto della carriera di Causio.


Franco Causio arriva al Palermo ventenne per disputare, nel 1969/70, la sua prima stagione in Serie A. L’impatto con la città è eccezionale e quello con l’allenatore Di Bella ancora di più. Il mister diventa un punto di riferimento anche caratteriale e la stima nei suoi confronti è tale che può tranquillamente permettersi di far notare allo juventino che si gioca per la squadra e non per sé stessi: “Sei bravissimo– gli dice – e se capirai questo diventerai un grande”.

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Causio corona il suo splendido Mondiale con il gol nella finalina contro il Brasile, entra nella Top11 del torneo e per lui non mancano le offerte di mercato (1978)

 

Causio è titolare e le sue prestazioni salgono agli onori della cronaca nazionale, nonostante il faticoso su e giù da Roma per prestare servizio militare alla Compagnia Atleti della   insieme ad altre due leggende del calcio, stavolta capitolino, come Agostino Di Bartolomei e Luciano Re Cecconi. Il primo gol in Serie A lo segna all’Inter facendosi beffe di Facchetti. Nella partita contro la sua Juventus fa impazzire il suo avversario diretto Cuccureddu, tanto che alla fine il dirigente Gianpiero Boniperti gli si avvicina con aria di scherno: “Ma tu lo sai che sei nostro, si?”. “Non se il Palermo mi riscatta”, replica un po’ piccato il salentino.

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Dopo Argentina ’78 la Juventus rallenta. Il blocco bianconero ceduto alla Nazionale paga il conto delle fatiche sudamericane e la squadra esce ben presto dalla lotta per lo Scudetto e la Coppa dei Campioni, ma si consola con la Coppa Italia.

 

I tre gol in 22 presenze non riescono a evitare ai siciliani la retrocessione in B. Il suo riscatto da parte della Juventus, dunque, è solo una formalità. Con lui torneranno a Torino dai rispettivi prestiti anche altri due giovani interessanti come Roberto Bettega e Gianluigi Savoldi, mentre gli acquisti di Fabio Capello e Luciano Spinosi dovevano essere la ciliegina sulla torta di una stagione di rinnovamento, anche anagrafico, coronata con l’ingaggio dell’allora trentacinquenne allenatore livornese Armando Picchi: il più giovane del campionato.

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Causio rispolvera con piacere il soprannome Brazil e il feeling con Zico è immediato: allo stadio Friuli, sempre pieno grazie ai 27mila abbonati, è spettacolo puro (1983)

 

Maestro, Brazil, Barone

Causio rientra a Torino per la stagione 1970/71 molto sicuro dei propri mezzi, per non dire baldanzoso. Il giorno del raduno della squadra, prima della partenza per Villar Perosa, viene intervistato dal noto giornalista Vladimiro Caminiti al quale dichiara: “Scrivilo: io sono il più forte, non posso che giocare titolare”. Il reporter ovviamente lo scrive e, nonostante l’ottima stagione a Palermo e la fiducia di Boniperti, quell’uscita non viene gradita da mister Picchi. Causio poi ci mette ulteriormente del suo con una gaffe che ancora oggi ricorda. Affacciati ai balconi di Villar Perosa proprio in quei primi giorni di ritiro, i calciatori juventini vedono arrivare una Jaguar, dalla quale scende una meravigliosa ragazza: la bella modella genovese Francesca Fusco. È lui il primo a far partire i commenti guasconi e, molto probabilmente, poco signorili ed è lui a beccarsi l’impropero di Picchi che, comparso all’improvviso sul piazzale, urla: “O’ buhaioli, è la mi’ moglje!”.

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Nell’estate del 1984 l’Inter del presidente Pellegrini è in cerca di rilancio: partono i vari Bagni, Beccalossi, Muller e Serena, arrivano Mandorlini, Brady, Rummenigge e Causio agli ordini del nuovo mister Ilario Castagner.


Entrare in conflitto con Picchi non aiuta certo Causio a scalzare la fitta concorrenza di Haller, Capello, Novellini, Marchetti e Savoldi. Morale della favola: passa tutta la prima parte di campionato seduto in panchina, tant’è che i giornali parlano di un suo imminente passaggio alla Lazio nel mercato di ottobre. Ma le regole dell’epoca non consentono a un giocatore di trasferirsi nella stessa serie se è sceso in campo anche un solo minuto in campionato. E, poco prima della riapertura delle liste, Picchi lo fa entrare a dieci minuti dalla fine della partita contro il Milan del Paròn Rocco, di fatto togliendolo dal mercato. Un segno del destino che ha poi legato indissolubilmente Causio alla Juventus.

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Il presidente del Lecce Jurlano sa della promessa fatta tanti anni prima da Causio a suo padre Oronzo e non manca di ricordargliela. E Franco non può che mantenerla. (1985)

 

Non si sa se per dispetto o no, ma da quei dieci minuti scoccò un’insperata scintilla tra Picchi e Causio. In una squadra che si sta rifacendo l’ossatura per gli anni a venire, il talento di Franco emerge cristallino, tanto che è lo stesso Picchi a soprannominarlo “Maestro”: un epiteto che in precedenza aveva dato solo a un altro giocatore, Mariolino Corso, ai tempi dell’Inter di Helenio Herrera. E non sarà l’unico appellativo affibbiatogli quell’anno. È la stessa penna di Caminiti a definirlo “Brazil”, fotografando così il suo modo di giocare fantasiosoche lo portava spesso a fare numeri ad effetto e geniali. Ma è quella di un altro giornalista, Flavio Cinti, ad assegnargli il soprannome che gli rimarrà cucito addosso per sempre: “Barone”, per la sua eleganza di portamento in campo e fuori. Fantasia ed eleganza, i due tratti distintivi di Franco Causioin quella Juventus che, a poco a poco, sta cercando di aprire un ciclo maturando un senso di coesione e rispetto sotto la guida di Armando Picchi.

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Oltre al Barone, la squadra è rinforzata con gli arrivi dei nazionali argentini Beto Barbas e Pedro Pablo Pasculli (1985)

 

Il Barone Causio decide con un suo gol la trasferta ungherese contro il Pécsi Dózda di Coppa delle Fiere ma nella partita successiva Picchi lo tiene fuori spiegandogli che non gli fa piacere ma deve far ruotare i suoi giocatori, inaugurando così una sorta di turnover ante litteram. La squadra sembra ingranare ma il 26 maggio 1971 un tumore alla colonna vertebrale si porta via Armando Picchi sotto gli occhi increduli di tutto il mondo sportivo.
Per i giocatori bianconeri il dolore è lacerante e, soltanto due giorni dopo, scenderanno in campo nella finale di Coppa ancora sotto choc. A guidarli c’è il cecoslovacco Čestmír Vycpálek, vecchia gloria juventina degli anni ’40 stabilitosi in Italia come allenatore di Serie C insieme a tutta la sua famiglia, tra cui suo nipote grande sportivo, appassionato di calcio e sfegatato tifoso bianconero Zdenek Zeman.

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Quando il suo vecchio amico Enzo Ferrari, alla guida della Triestina in Serie B, gli offre l’opportunità di riavvicinarsi a Udine non ci pensa su due volte (1986)

 

Vycpálek era approdato a Torino solo sei mesi prima alla guida delle giovanili grazie a un incontro fortuito in Sicilia col suo vecchio compagno di squadra, Gianpiero Boniperti. Ed ora da un giorno all’altro si ritrovava sulla panchina della Juventus per una finale di coppa internazionale al cospetto di uno dei più grandi manager dell’epoca: l’allenatore inglese del Leeds United, Don Revie. La squadra però vuole fortemente dedicare il trofeo alla memoria del mister scomparso e non sfigura di fronte ai vari Billy Bremner, Johnny Giles, Peter Lorimer, Terry Cooper e Jackie Charlton, pareggiando 2-2 al Comunale di Torino di fronte a 60 mila spettatori commossi. Una settimana dopo in Inghilterra, però, non va oltre l’1-1 e, per la regola dei gol in trasferta, la coppa va al Leeds.

Causio chiuderà la stagione con venti presenze in campionato e sei reti, candidandosi ad essere uno dei titolarissimi della futura gestione Vycpálek. Già perché quell’estate la presidenza juventina passa a Gianpiero Boniperti, che conferma il “suo uomo” in panchina e inaugura una stagione di successi contraddistinti da quello che ha voluto imporre come “stile Juve”.

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Dopo aver fatto il dirigente all’Udinese, torna occasionalmente a fare l’osservatore per la Juventus e il commentatore televisivo per Telemontecarlo, Mediaset, Sky Sport (2000)

 

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