La media voto dei calciatori del Lecce in base alle Pagelle della stampa nazionale e locale.
Falcone si esalta contro la sua Roma.
Touba, Gendrey e Strefezza capri espiatori.

Come ha detto D’Aversa, è mancata la malizia, non la prestazione.
Il Lecce quasi riesce a sbancare l’Olimpico ma poi, sul più bello, concede il via libera alla Roma, replicando la beffa di Coppa Italia col Parma.

 

L’AVVERSARIO: ROMA. La Roma di Mourinho si riconosce lontano un miglio. Quando non c’è la qualità in campo, si arrocca dietro al pullman. Quando, come in questo caso, può schierare diamanti come Dybala, Lukaku o l’ottimo Aouar, fioccano le occasioni, alcune anche pregevoli come il sombrero che la Joya rifila al malcapitato Kaba prima di scoccare, sempre di esterno, un tiro che avrebbe fatto venire giù l’Olimpico. Evento peraltro solo rimandato, ma a firma Lukaku nei minuti di recupero, dopo aver sbagliato un rigore al pronti via. E la Roma di occasioni ne sbaglia parecchie, specialmente nel primo tempo quando El Sharaawy imperversa a sinistra col supporto di Aouar. Non si capisce se per gli amaranto-oro sia una di quelle partite stregate o semplicemente da sbloccare, per dare il via a una goleada. Nel dubbio, il solito teatrino messo in scena da una delle squadre più lamentose del campionato riguardo gli arbitraggi, sempre pronta a circondare il fischietto per chiedere cartellini o un indirizzo diverso delle decisioni. A partire da capitan Mancini, che di questi espedienti potrebbe avere una cattedra a La Sapienza. Il risultato è identico a quello dello scorso anno: un metro di giudizio totalmente impari, in perfetto stile “not in my backyard”, 18 falli (quelli fischiati, naturalmente) e 2 gialli (quello a Lukaku che si toglie la maglia dopo il gol non fa statistica) contro 11 e 5 gialli. Nel calcio però, ci sta, l’arbitro è un essere umano e intorno ne ha “giusto” 80mila pronti a inveirgli contro per proteggere i propri beniamini che l’anno scorso, però, a campi invertiti si lamentarono che la loro classe non fu tutelata di fronte alla durezza dei leccesi, in altre parole di essere stati “menàti”. Dispiace che questo contro la Roma stia diventando quasi un appuntamento fisso con la polemica, così come dispiace constatare che solo una settimana fa gli stessi che domenica si atteggiavano a bulli, a San Siro sembravano scolaretti.
Tornando al calcio, in fin dei conti la Roma la sua partita l’ha fatta trovandosi davanti un grande Falcone (per molti prossimo portiere capitolino). Dopo lo svantaggio Mourinho ha provato il classico all in inserendo tutto il materiale offensivo di cui disponeva in panchina. Il Lecce però non si piegava, anzi rischiava il raddoppio, ma soprattutto non concedeva ai padroni di casa quelle accelerate di ritmo, quelle sfuriate offensive che avrebbero potuto generare l’occasione decisiva. La Roma però è squadra esperta, smaliziata, esattamente il contrario del Lecce. Tantissime volte si è trovata in queste situazioni, tantissime volte ha ribaltato risultati impossibili sospinta dal proprio pubblico e sa perfettamente che l’avversario, prima o poi, dovrà tirare il fiato. Anche per pochi secondi, quelli sufficienti però a dei diamanti come Azmoun, Dybala o Lukaku per tirare fuori la giocata decisiva.
“Beware of pickpockets”, attenzione ai borseggiatori, scrivono i cartelli nella metropolitana. Ecco, la Roma non ha rubato nulla che non fosse già suo: probabilmente aveva giocato troppo coi dadi e perso sfortunatamente quel portafoglio che poi, alla prima distrazione utile, ha deciso di riprendersi dalle tasche del Lecce prima di scendere al capolinea, con tutta l’esperienza e la qualità di cui dispone. E giù con i titoloni, le favole strappalacrime che, giustamente, fanno sognare i tifosi anche più di coppe e trofei. Chi vince esulta, chi perde impara (speriamo). Questo è il calcio signore e signori, astenersi deboli di cuore.

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con gli highlights di Roma-Lecce 2-1

I voti della stampa, le considerazioni de La Penna Verde

FALCONE 7,15. È evidente, la Roma lo esalta. Non solo il rigore parato a freddo a Lukaku (comunque il primo a neutralizzare il belga dal dischetto in Serie A), ma anche una serie di ottimi interventi e, udite udite, anche uscite e rinvii. Posto che non si possono sempre chiedere i miracoli, basterebbe che in quelle che sembrano piccole cose in una partita il livello di Falcone fosse costantemente questo. Migliore in campo.

GENDREY 5,65. Dalle sue parti imperversa El Sharaawy, cliente assai scomodo, con l’aiuto di Aouar. Gendrey lo limita come può cercando anche con coraggio di salire lui per tenerlo più basso. Forse per questo alla fine paga in stanchezza e viene bruciato dallo scatto del neo entrato Zalewski per il cross del pareggio.

PONGRACIC 6,35. Sempre preciso e puntuale (nei limiti del possibile quando contro hai avversari di questo livello), la serpentina che per poco non regala lo 0-2 è da sogno. Cosa sia successo alla fine resta un dilemma. Proprio lui, nazionale e tra i più esperti in campo, commette un fallo inutile sulla trequarti contro un uomo spalle alla porta che non poteva far altro che appoggiare indietro al suo difensore. Non pago, invece di mangiarsi la palla ed evacuarla parecchi minuti dopo, trotterella all’indietro lasciando alla Roma la libertà di battere ordinatamente e trovare, sugli sviluppi dell’azione, l’1-1. Poi, dopo un gran recupero su Zalewski, quel passaggetto che mette in difficoltà un Kaba stremato e “abbandona” al suo destino Touba e Gallo contro Lukaku. Tu quoque. 

BASCHIROTTO 6,15. Si è calato ormai nei panni dello stopper anni ’70. Tiene botta come può, spazza tutto quello che gli capita sotto tiro, ma poi soccombe nei minuti finali con il resto della squadra.

DORGU 5,9. Inibito da un giallo decisamente generoso (apre le gambe proprio per non colpire l’avversario, rischiando anzi di farsi male ai gioielli di famiglia), c’è da dire che Karsdorp lo impensierisce davvero poco. 

(GALLO 5,75). Entra per l’ammonito Dorgu e dà il suo contributo, ma sullo strapotere fisico di Lukaku può veramente poco.

KABA 6,2. Prestazione di altissimo livello, come sempre fin quando il fiato glielo consente. L’ultima palla di Pongracic non sembrava così difficile da controllare, ma forse anche lui guardava il cronometro aspettandosi un lancione.

RAMADANI 6,4. Con Kaba al suo fianco è molto più sicuro ed efficace in entrambe le fasi. Fa letteralmente impazzire Bove che lo maltratta impunito con almeno tre interventi tutti da giallo (e tutti puntualmente conditi dalla protesta plateale: “Ma che fallo è?”). Invece negli spogliatoi ci finisce solo perché Mourinho, all’ennesima entrata rude, lo richiama in panchina per primo (ma va?), mentre il giallo se lo becca l’albanese.

RAFIA 5,9. Alla ricerca dell’autostima perduta. Da quando non è più il giocatore sfrontato che veniva dalla C e voleva dimostrare al mondo pallonaro di essersi sbagliato nei suoi confronti, il suo contributo alla causa è praticamente sufficiente solo alla parità numerica.

(GONZALEZ 6,2). Grandissimo ingresso dell’ex canterano del Barça, che riscatta l’incidente di percorso col Torino e offre un ottimo segnale a D’Aversa. Se si confermasse una mezzala su cui si può contare in entrambe le fasi, sarà un valore aggiunto per questo Lecce. 

ALMQVIST 6,95. Gli basta una palla buona per colpire. Ovvero il motivo per cui D’Aversa non lo ha mai tolto fin qui. Si spera che questo guizzo basti a riaccenderne gli entusiasmi, sopiti ormai da troppe partite.

(TOUBA 4,85)Il suo ingresso aveva dato l’impressione che il Lecce avesse parcheggiato lui, stavolta, il pullman davanti alla porta. Non stava neppure disimpegnandosi male, ma quei due minuti giocati così di fretta, in apnea, senza sangue al cervello, sono responsabilità di tutta la squadra, non solo sua. Quando è così la ragione soccombe all’istinto e l’istinto ti dice sempre “cerca la palla”. È andata così.

KRSTOVIC 6,2. Come contro il Toro, per vedere la porta deve prendersi la palla e sfidare a testa bassa tutta la difesa. E ce la fa per due volte, ma il tiro che ne vien fuori è troppo loffio. 

(PICCOLI 5,69). Entra e si sbatte, come al solito, facendosi sempre trovare al suo posto. Una volta in fuorigioco, un’altra ignorato da Strefezza.

BANDA 6,55. Sgraziato, scoordinato, impreciso, testardo e potremmo continuare. Intanto però è lui che, scorrazzando sulla fascia, crea i maggiori grattacapi alla difesa romanista, nonché il gol del vantaggio salentino. Il che ci potrebbe dare la misura sul livello del campionato italiano, ma ci asteniamo dall’approfondire il discorso. Anche lui nel primo tempo si becca un giallo di “orientamento alla partita” dopo la più classica delle spallate regolare. Amen.

(STREFEZZA 5,45). Era entrato bene, benissimo in partita. Quella palla dello 0-2 gli rimarrà sul groppone chissà per quanto tempo: gol sbagliato o assist mancato, fa poca differenza. Quel che è certo è che né lui né Touba meritano processi dopo 91 minuti del genere.

D’AVERSA 6,05. Il tema del giorno è la fatidica sostituzione Almqvist-Touba e conseguente passaggio alla difesa a tre, o meglio a 5. Per questo, chi frequenta abitualmente queste pagine e ne conosce il pensiero calcistico di fondo, si aspetterà un seguito alle critiche mosse in seguito alla sconfitta col Torino.
Invece, se avrete la voglia e la pazienza di proseguire nella lettura, scoprirete che non è così.
A parer di chi scrive, infatti, il cambio non solo era giustificato, ma addirittura azzeccato. Una volta che Mourinho ha schierato tre punte (Lukaku, Belotti, Azmoun), cambiato gli esterni per favorirne i rifornimenti (Zalewski e Kristensen) e lasciato Dybala libero di esprimere il suo talento su qualunque zolla di campo protetto da Cristante e Sanches, la Roma attaccava di fatto con sei elementi più due addetti al recupero palla e solo Ndicka e Llorente a protezione di Rui Patricio. A questa “confusione organizzata”, come la chiamerebbe Eugenio Fascetti, D’Aversa si è adeguato, mettendo tre centrali di ruolo per marcare le tre punte, allargando i due esterni Gallo e Gendrey per controllare i crossatori e piazzando la diga dei tre mediani per evitare le imbucate centrali, con Strefezza e Piccoli in avanti a portare il pressing sui difensori.
Ha funzionato? No. E quindi per questo l’idea era sbagliata? Non crediamo. Azzardata? Sicuramente.
Ma l’alternativa qual era? Lasciare la difesa a 4 in balia dell’attacco a 5 più Dybala? Col senno di poi è facile giudicare, ma mettersi uomo contro uomo era di fatto l’unica cosa che avrebbe potuto sballare i piani di arrembaggio di Mourinho e, magari, infilzarlo con lo 0-2. Cosa che effettivamente stava accadendo.
Dunque, cos’è che non ha funzionato alla fine? Due cose, sostanzialmente. La prima, non dipendente dalla volontà di nessuno, è che la Roma è più forte, per cui se il singolo trova la giocata puoi farci poco.
La seconda riguarda l’approccio difensivo. È come se da quel fallo di Pongracic in poi, il Lecce abbia smesso di difendere da squadra, concedendosi il lusso di dire “io penso al mio, in fondo è quello che vuole il mister”. Qui sta il grande equivoco di fondo: le grandi squadre che giocano uomo su uomo come ad esempio l’Atalanta, basano tutto il loro assetto sulla generosità e sul lavoro di squadra, perché è assodato che nell’arco dei 90 minuti prima o poi qualcuno ti salti e crei la superiorità numerica. È lì che interviene il gruppo, l’aiuto del compagno, cosa che nel Lecce non è avvenuta, sicuramente non per mancanza di impegno o altruismo, ma perché si è proprio spenta una lampadina, strettamente connessa al circuito dell’inesperienza. Per cui tutti gli errori tecnici dei singoli, da Pongracic a Kaba, da Gendrey a Gonzalez, da Touba a Gallo si sommano e diventano di squadra, perché nessun altro è stato in grado di coprirli. Bastava “sedersi” sulla palla della punizione e dire “questa la battete tra dieci minuti, poi, domani forse”. Prendersi un giallo, questo si, ampiamente giustificato. Invece la testa di tutti è andata in stand by in quei 180 secondi in cui sembravano solo pensare: “non è possibile, era finita”. E una. “Non è possibile, era finita”. E due.
Due schiaffi di palmo e di dorso senza neppure il tempo di riaprire gli occhi. Esattamente – e qui la lingua batte dove il dente duole – come accaduto tre giorni prima in Coppa Italia col Parma: beffati al 94° e al 97° quando si era praticamente in controllo mentale della partita. Quello che è sfuggito in entrambi i casi.
A D’Aversa, dunque, il compito di prendere il buono anche da questa sconfitta, come per esempio la capacità di restare sempre dentro il match e di non perdere le staffe nonostante un arbitraggio a dir poco casalingo.

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Le pagelle definitive: le medie voto finali in base ai giudizi della stampa locale e nazionale.

Roma Lecce 2-1 Almqvist Azmoun Lukaku Falcone pagelle definitive SerieA 2023 2024

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Serie A 2023/24: le pagelle definitive del Lecce

Lecce-Lazio 2-1
Fiorentina-Lecce 2-2
Lecce-Salernitana 2-0
Monza-Lecce 1-1
Lecce-Genoa 1-0
Juventus-Lecce 1-0
Lecce-Napoli 0-4
Lecce-Sassuolo 1-1
Udinese-Lecce 1-1
Lecce-Torino 0-1